Come ultima tappa nel nostro viaggio di esplorazione delle Food Sensitivities, ci occupiamo di un'intolleranza poco conosciuta ma non meno importante: la sensibilità ai salicilati, derivati naturali dell'acido acetilsalicilico (la comune aspirina). NB: rivolgersi sempre al medico di fiducia prima di effettuare variazioni di terapia farmacologica. Le persone sensibili all'acido acetilsalicilico dovrebbero fare attenzione anche ad alcuni tipi di alimenti che, seppur sanissimi, potrebbero scatenare una reazione in coloro che soffrono di un'intolleranza ai salicilati, eccone alcuni tra i più ricchi di queste sostanze:
Questi cibi, tuttavia, non andranno totalmente eliminati (salvo parere medico contrario), ma ne andrà ridotta l'assunzione in modo da non superare la soglia dei 15/20 mg al giorno di salicilati assunti, oltre la quale potrebbero cominciare a svilupparsi reazioni di tipo irritativo. Per quantificare questa dose in modo più accessibile, si può dire che basta mangiare quattro albicocche oppure una grossa arancia per superare la soglia. Le persone con una provata alta sensibilità a queste sostanze non dovranno superare, nei giorni di dieta e salvo parere medico contrario, i 2,6 mg al giorno, tornando a consumarli gradualmente nei giorni liberi. Cosa si può mangiare in sostituzione?
Tutta la frutta consentita, tra cui pere e banane; fichi e prugne disidratati al posto dei datteri e tutti gli altri semi oleosi che non siano mandorle e arachidi (noci, nocciole ecc.); tisane al posto del tè, facendo attenzione ad evitare gli infusi ai frutti rossi; per quanto riguarda le verdure, tutte tranne peperoni, ravanelli e zucchine.
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Il sale è senza dubbio di fondamentale importanza per la nostra salute, ma a volte sarebbe meglio averne un po' di più in zucca e meno nel piatto. L'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il consumo di sale massimo giornaliero intorno ai 5 grammi, all'incirca quanto un cucchiaino da tè. Se vi sembra tanto, ricordate che questa misura comprende tutto il sodio già presente naturalmente nei cibi, come ad esempio il prosciutto crudo, del quale 100 grammi sono sufficienti a raggiungere il limite. In media, una persona adulta assume dai 6 ai 18 grammi di sale al giorno. Come ridurre il consumo di sale? Innanzitutto leggere bene l'etichetta prima di mettere un prodotto nel carrello: un cibo è considerato ad alto contenuto di sale quando questo supera gli 1-1,2 g per 100 grammi. Un'altra utile soluzione è certamente ridurre al minimo l'uso di cloruro di sodio (il classico sale da cucina), lasciando il compito di insaporire le vostre pietanze ad erbe e spezie come curcuma, origano, menta, zenzero, erba cipollina, timo, salvia e tutte quelle che la vostra fantasia culinaria vi propone. Quali sono gli alimenti da evitare?
Una menzione particolare va fatta per i prodotti da forno, specialmente quelli "inaspettati". Oltre a pane, grissini e crackers, infatti, molti prodotti da forno normalmente considerati dolci, come biscotti, torte, merendine e cereali, contengono una quantità di sale sorprendentemente elevata. Questo è vero soprattutto nel caso di alimenti industriali, prodotti con ingredienti raffinati. Detto questo, eliminare completamente il sale dalla nostra dieta non sarebbe fattibile, in quanto il sodio rimane un elemento importante per far funzionare il nostro organismo, causando gravi danni in caso venisse a mancare. La soluzione potrebbe essere stabilire un giorno a settimana in cui si presta attenzione a non assumerne in eccesso per evitare il sovraccarico e lo sviluppo di una sensibilità. In conclusione: sale sì, ma con moderazione!
Quando si pensa alla sensibilità al Nichel, la nostra mente forma subito immagini di dolorosi eczemi a forma dell'ultimo pendente acquistato su una bancarella o "orologi" di irritazione al polso. Senza dubbio la dermatite da contatto è un sintomo importante della reattività al Nichel, ma non è l'unico; un eccesso di certi alimenti può essere altrettanto fastidioso in soggetti sensibili. Quali alimenti contengono Nichel? Il Nichel è presente in moltissimi cibi per via della sua abbondante presenza nel suolo, dal quale viene in seguito assorbito da piante e animali che formano la nostra alimentazione; per questo, sarebbe impossibile evitare ogni singolo cibo che ne contenga, ma bisogna prestare attenzione agli alimenti nei quali si trova in quantità elevate:
Cosa si può fare per attenuare la reattività?
Innanzitutto la dieta di rotazione, in cui si riservano alcuni giorni di astensione totale dalla sostanza che crea reattività alternati a giorni di reintroduzione graduale nel resto della settimana. Inoltre, un metodo per ridurre l'assorbimento del Nichel può essere l'assunzione di Vitamina C nel pasto in cui si consumano alimenti ad alta concentrazione di questo metallo. Per chi fuma, un'altra importante soluzione per arginare il contatto con il Nichel è smettere di fumare o almeno ridurre il più possibile: il fumo di sigaretta infatti consente al Nichel di arrivare a bocca e occhi, nonchè ai polmoni, dai quali passa molto velocemente nel sangue, contribuendo in maniera significativa al sovraccarico. Questi accorgimenti aiuteranno il nostro organismo a depurarsi dall'eccesso di Nichel, per poterci col tempo godere un bel piatto di pasta al pomodoro, senza rinunce. Oggi il nostro percorso sulle Food Sensitivities si ferma ad una stazione controversa: l'intolleranza al latte è sempre una strada senza ritorno? È possibile recuperare la tolleranza? Reattività ed intolleranza: capiamo la differenza La cosa più importante da cui cominciare è distinguere la reattività al latte dalla semplice intolleranza al lattosio: quella che viene comunemente chiamata intolleranza al lattosio è in realtà una carenza biochimica dell'enzima lattasi, utilizzato per scindere lo zucchero del latte (il lattosio, appunto) in glucosio e galattosio e renderlo digeribile. Se questo enzima viene a mancare, l'organismo non riesce a processare il lattosio, il che provoca sintomi come mal di testa e problemi intestinali. La reattività alle proteine del latte è causata dall'eccesso di esposizione a prodotti contenenti latte e prodotti di derivazione bovina, che causano infiammazione con conseguenti sintomi diffusi come colite, acne, gonfiori, difficoltà digestive e artrite. Se l'intolleranza al lattosio è risolvibile solamente evitando tutte le fonti di lattosio o assumendo enzimi, la reattività alle proteine del latte si può risolvere reinserendo gradualmente nella dieta i prodotti che le contengono, alternando periodi di astinenza per recuperare così la tolleranza. Quali prodotti contengono proteine del latte?
Alcuni medicinali potrebbero contenere lattosio: non interrompere terapie in corso; consultare sempre il medico di fiducia prima di effettuare variazioni. Seguendo la dieta a rotazione, anche chi è reattivo potrà festeggiare la tolleranza ritrovata con una torta alla crema o un bel bicchiere di latte!
La prossima tappa del nostro viaggio alla scoperta delle Food Sensitivities ci porta a discutere di lieviti e fermentati, ma prima di parlare di come recuperare la tolleranza a queste sostanze, cerchiamo di capirle meglio: Cosè la lievitazione? La lievitazione è un processo di fermentazione, diverso a seconda che si usino lievitanti chimici o naturali, tramite il quale si attiva la produzione di anidride carbonica, un gas che provoca l'aumento di volume dell'impasto. Cosè la fermentazione? La fermentazione è la trasformazione degli zuccheri presenti negli alimenti tramite reazioni chimiche messe in atto da microorganismi come lieviti, muffe e batteri. È dimostrato che chi è reattivo verso i lieviti ha un miglioramento maggiore se si controllano con la dieta a rotazione anche le sostanze fermentate. Quali cibi contengono lieviti o sostanze fermentate?
Masticare bene per evitare la fermentazione I cibi non sufficientemente masticati restano più a lungo nello stomaco, il che può scatenare un inizio di fermentazione. Per evitarne le conseguenze è consigliabile poggiare la forchetta tra un boccone e l'altro, in modo da rallentare l'assunzione di cibo e permettere una masticazione migliore ed una digestione senza "intoppi". Come recuperare la tolleranza?
In caso di reattività a queste sostanze, è necessario effettuare un tipo di "dieta" in cui durante la settimana si alterneranno dei giorni di astensione totale a giorni di reintroduzione graduale, in modo da "svezzare" l'organismo al riconoscimento di questi prodotti. Essere intolleranti al glutine non significa automaticamente essere celiaci, la sensibilità al glutine colpisce una percentuale più alta di popolazione rispetto al numero di celiaci esistenti. La causa della Gluten Sensitivity in Italia è spesso da ricercarsi nella dieta, in quanto il tipico modo di mangiare mediterraneo comprende il consumo di grandi quantità di frumento, in svariate forme. Questa "sovraesposizione" causa l'insorgere di sensibilità verso questo alimento e di conseguenza i purtroppo ben noti sintomi (mal di testa, problemi intestinali e dermatologici). Ma "sbarazzarsi" completamente del glutine non è la soluzione. Perchè evitare l'assunzione di glutine è controproducente? L'esclusione totale del glutine in caso di Gluten Sensitivity rischierebbe di scatenare sintomi ancora più acuti nel momento in cui si decidesse di consumarne in via eccezionale (es. il pasticcino ad una festa o la pizza nel weekend). La Gluten Sensitivity è guaribile? È fondamentale specificare che la sensibilità al glutine NON È CELIACHIA, ed è per questo che da essa (al contrario della celiachia, che richiede un'astensione TOTALE a tutto ciò che contiene glutine) si può guarire "rieducando" l'organismo alla tolleranza introducendo a giorni alterni piccole quantità di glutine, andando per gradi come si farebbe per svezzare un bambino. Questo reinserimento andrebbe idealmente fatto durante la prima colazione, quando l'organismo è più predisposto a tollerare i nuovi alimenti. Non solo frumento
Spesso ci dimentichiamo che il frumento non è l'unico cereale disponibile per la nostra alimentazione, ne esistono molteplici che possiamo utilizzare per variare la nostra alimentazione ed evitare il sovraccarico, ad esempio il farro, la segale, il kamut e l'orzo (che contengono glutine) oppure il riso, l'avena, l'amaranto, la quinoa ed il grano saraceno (tutti naturalmente privi di glutine), ovviamente consumati integrali. Sarà capitato quasi a tutti di "non sentirsi a posto" senza un motivo apparente, e la risposta che di solito ci diamo è "Sarà lo stress". Ma se fosse il cibo il vero colpevole? Oggi ci occupiamo di quelle che una volta venivano chiamate "intolleranze alimentari", ora più correttamente definite Food Sensitivities. Le Food Sensitivities sono strettamente correlate all'infiammazione da cibo. Cos'è l'infiammazione da cibo? L'infiammazione da cibo è la produzione da parte dell'organismo di sostanze infiammatorie a seguito di una sensibilizzazione dovuta ad un eccesso di esposizione ad un dato alimento, che può portare a diversi e a volte gravi sintomi. Quali sono i sintomi dell'infiammazione da cibo? I sintomi dell'infiammazione da cibo sono diversi e possono presentarsi in ogni parte del nostro organismo:
Come contrastare l'infiammazione da cibo?
Il test anamnestico QuASA, formato da un questionario sui sintomi ed il comportamento alimentare ed un consulto nutrizionale con personale specializzato, in base ad un punteggio numerico porta a conoscenza degli alimenti a cui si è intolleranti, in modo da poter applicare la dieta a rotazione con più o meno giorni di astinenza dall'esposizione agli stessi, in modo da rieducare l'organismo a tollerarli nuovamente. Sarà capitato a molti di andare al supermercato, trovare un prodotto con la dicitura "Senza Zuccheri Aggiunti" e metterlo nel carrello con la convinzione di aver fatto una scelta di salute. Ma basta girare la confezione per scoprire che la verità in etichetta è un tantino diversa: il sapore dolce che prima era dato dallo zucchero ora è fornito dai dolcificanti. I dolcificanti o edulcoranti si possono scoprire in etichetta con i codici da E950 a E969, più i codici E420 e E421, e sono spesso considerati una "soluzione light" per non rinunciare al piacere del gusto dolce senza conseguenze per la linea. Ciò che ora sappiamo è che i dolcificanti, spesso utilizzati come sostituti dello zucchero da chi cerca di perdere qualche chilo o mantenere il peso forma, potrebbero invece attivare un accumulo di grasso ancora maggiore dello zucchero stesso. Come mai avviene questo fenomeno? Per la risposta dobbiamo andare molto indietro nel tempo, al periodo dei nostri antenati del Paleolitico. L'Uomo del Paleolitico non aveva cibi dolci sempre a disposizione, perciò quando trovava in natura un favo di miele o della frutta matura il suo organismo lo stimolava a mangiarne il più possibile, per farne scorta nei tempi di magra. Questo meccanismo di accumulo in presenza di sapore dolce è purtroppo ancora attivo nel nostro organismo, che non fa differenza sul dolce dato dallo zucchero o dai dolcificanti. Il motivo per cui i dolcificanti sono particolarmente dannosi è proprio ciò che li rende così attrattivi: la ridotta quantità di calorie. È stato dimostrato infatti che l'assunzione di dolcificanti "a zero calorie" porta ad avere più fame nel pasto successivo, portando quindi ad un aumento delle calorie introdotte ed un eventuale ingrassamento. Esiste un modo per evitarlo? La reazione che il nostro corpo ha nei confronti del dolce non si può arrestare, ma facendo buone scelte di alimentazione, come evitare di dolcificare gli alimenti, concedendosi un dessert "fatto bene", con farina integrale e miele e bilanciato da grassi buoni e proteine, complementando con l'attività fisica, si potrà godere del gusto dolce senza troppi sensi di colpa.
Cosa c'è di meglio di sedersi a tavola davanti ad una bella ciotola di insalata colorata e croccante, oppure addentare un frutto succoso e dolce? L'OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, afferma l'importanza di assumere almeno 5 porzioni di frutta e verdura tutti i giorni, e se ne può capire subito il perchè: frutta e verdura sono ricche di vitamine, fibre, antiossidanti, sali minerali e minerali come Manganese, Rame e Zinco. Le vitamine e gli antiossidanti contenuti in frutta e verdura fresche possono aiutare a mantenerci giovani e in salute, con una pelle bella e luminosa, stimolando il metabolismo ed il sistema immunitario. Il loro contenuto di fibra, poi, aiuta chi ha problemi di linea a sentirsi sazio in fretta e più a lungo, e regola il transito intestinale. Ma non si dimagrisce di sola verdura! È importante coordinare il potere saziante della fibra con le proteine, i carboidrati ed i grassi; quindi, una bella insalata mista, ad esempio, accompagnata da tonno e due fette di buon pane integrale e condita con dell'olio buono può rappresentare un pasto sano e bilanciato. Qual 'è il modo migliore di consumare Frutta e Verdura? Frutta e verdura andrebbero idealmente consumate all'inizio del pasto, prima di tutto il resto, possibilmente crude e con buccia e semi, perciò è consigliabile acquistarle da agricoltura biologica, lavarle accuratamente prima del consumo e masticare bene. Come fare per convincere i bambini a mangiare Frutta e Verdura? Coinvolgerli nella preparazione dei piatti, magari approfittando dei diversi colori e forme per dare vita ad un "quadro goloso", può incentivarli a provare verdure che magari prima non avrebbero nemmeno guardato, senza forzature. Buon appetito a tutti, con tanta Frutta e Verdura!
Ci hanno sempre ripetuto che "i grassi fanno male, fanno ingrassare...", ma ciò solo in parte corrisponde a verità: il trucco è saper effettuare le giuste scelte per un'alimentazione più sana e consapevole. Le due tipologie di grassi da osservare sono i grassi saturi ed i grassi insaturi. I grassi saturi, contenuti ad esempio nell'olio di palma, sono collegati ad un aumento del rischio cardiovascolare, sindrome metabolica e cancro. I grassi insaturi invece, grazie alla loro struttura molecolare, proteggono da trombosi, cancro, sindrome metabolica e malattie cardiovascolari. Dove si trovano questi "grassi buoni?" Soprattutto nei grassi vegetali, come l'olio extravergine di oliva, l'olio di lino ed i semi oleosi. Tra i grassi insaturi, i migliori sono i grassi polinsaturi, ad esempio Omega-3 e Omega-6 contenuti, oltre che nei cibi già indicati, anche nel pesce. Come consumarli per usufruire al meglio delle loro proprietà? I grassi insaturi, per mantenere le loro potenzialità benefiche, devono essere consumati a crudo, in quanto ad alte temperature subiscono la trasformazione in grassi trans, ancora più nocivi dei grassi saturi. Se proprio non si riesce a rinunciare alla cottura con grassi, è consigliabile scegliere tra gli oli più "stabili", come l'olio extravergine di oliva spremuto a freddo, ricco di antiossidanti, avendo l'accortezza di addizionare i piatti con cannella, in grado grazie alla quantità elevata di antiossidanti di mantenere più a lungo le caratteristiche dei grassi ai quali viene aggiunta. Con questi consigli, non vi sentirete più in colpa per aver aggiunto un filo d'olio (buono!) all'insalata!
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Dott.ssa Barbara Giannecchini
Con l'aiuto di un'analisi Bioimpedenziometrica della composizione corporea (BIA 101, Akern), elaboro consigli nutrizionali, aiutando il paziente a raggiungere una corretta alimentazione e uno stile di vita sano e attivo. Archivi
Aprile 2019
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